Prova d'orchestra

Anno: 
1979
Pellicola: 
colore
Durata: 
70 min
Produzione: 
Daime Cinematografica S.p.A. e Rai - TV (Roma), Albatros Produktion G.M.B.H. (Monaco)
Distribuzione: 
Gaumont - Italia
Visto censura: 
73109
19/02/1979

All'interno di un antico oratorio si svolgono le prove di un concerto sinfonico. Gli strumentisti arrivano a gruppetti e prendono posto. Ci sono anche, in un angolo, i rappresentanti sindacali. Un giornalista televisivo intervista i musicisti: ognuno parla del suo strumento e delle sue esperienze. All'arrivo del maestro, che si esprime con spiccato accento tedesco, la prova inizia con calma. Poi all'improvviso si interrompe per le proteste degli orchestrali. Il direttore abbandona la sala per il suo camerino dove lo segue il giornalista per intervistarlo. Intanto nell'oratorio è la rivoluzione: tutto viene contestato, dal direttore agli spartiti; l'anarchia e il disordine regnano, con le pareti imbrattate da scritte e simboli di rivolta. D'un tratto l'edificio inizia a tremare, scosso da colpi sempre più forti finché una gigantesca palla di acciaio non sfonda i muri, e nel crollo muore l'arpista. Dopo momenti di confusione e grida di terrore torna il silenzio e la prova riprende. Di nuovo sul podio, il direttore d'orchestra impartisce i suoi ordini, come un dittatore.

Cast tecnico

Regia: Federico Fellini
Soggetto: Federico Fellini
Sceneggiatura: Federico Fellini
Collaborazione alla sceneggiatura: Brunello Rondi
Fotografia: Giuseppe Rotunno (Technicolor)
Musica: Nino Rota
Consulente musicale: Carlo Savina
Direttore d'orchestra: Carlo Savina
Scenografia: Dante Ferretti
Arredamento: Nazzareno Piana
Montaggio: Ruggero Mastroianni
Assistente al montaggio: Adriana Olasio
Effetti speciali: Adriano Pischiutta
Costumi: Gabriella Pescucci
Aiuto regia: Maurizio Mein
Assistente alla regia: Christa Reeh, Giovanni Bentivoglio
Operatore: Gianni Fiore
Direttore del doppiaggio: Carlo Baccarini
Organizzazione generale: Lamberto Pippia
Delegato RAI alla produzione: Fabio Storelli

Cast

Baldwin Baas : il direttore d'orchestra
Clara Colosimo : l'arpista
Elisabeth Labi : la pianista
Ronaldo Bonacchi : il controfagotto
Ferdinando Villella : il violoncello
Giovanni Javarone : la tuba
David Mauhsell : il primo violino
Francesco Aluigi : il secondo violino
Andy Miller : l'oboe
Sibyl Mostert : la flautista
Franco Mazzieri : la tromba
Daniele Pagani : la tromba
Luigi Uzzo : il violino
Cesare Martignoni : il clarinetto
Umberto Zuanelli : il copista
Filippo Trincia : il responsabile dell'orchestra
Claudio Ciocca : il sindacalista
Angelica Hansen : violino
Heinz Kreuger : violino
Federico Fellini : voce dell'intervistatore

Premi

1979
Nastro d'argento per miglior musica

Curiosità

“Avevo altri progetti, non era urgente, non sentivo l’urgenza di fare questo. Non corrispondeva a un bisogno. A un certo punto il bisogno l’ho sentito, quando hanno ammazzato Moro. Sì, quando ho saputo che avevano ammazzato Moro. Mi fece un’impressione enorme. Ma non il fatto in sé, io me l’aspettavo. Ma il rifletterci su, per capire il senso profondo di quello che era accaduto e del perché era accaduto. Che cosa avevano voluto fare quelli che l’avevano ammazzato? Che ci era successo a tutti noi che viviamo in questo Paese? Perché eravamo ridotti a questo punto? Tra questo e il film non c’è stata nessuna connessione diretta, o almeno io non me ne sono reso conto. Il nesso l’ho percepito molto tempo dopo, quando il film era già finito, anzi quando era già in programmazione. Non è che fin dall’inizio io non annettessi al film i significati che ha, ma non avevo coscienza del perché a un certo punto mi fosse diventato urgente il farlo. Ebbene, poi l’ho saputo: è stato l’assassinio di Moro”.
Franca Faldini, Goffredo Fofi, Il cinema italiano d’oggi, 1970-1984. Raccontato dai suoi protagonisti, Mondadori, Milano, 1984, p. 258

Critiche

Leone Piccioni
Fellini riesce a fondere, in poco più poco meno di 70 minuti di spettacolo, grottesco, nostalgico, verità, profezia, inquietudine ed ansia, in un amalgama davvero insolito senza che un mezzo minuto soltanto del fitto discorso evocativo, rappresentativo o volto alla previsione, vada sprecato o cada inerte. Ha momenti di struggente e drammatica forza poetica, ma non ha bisogno (come altre volte anche a lui poteva accadere) di prepararli con uno scorrere più spento di immagini; non ha nessun desiderio di prolungare in echi e riflessi, anche i più alti risultati raggiunti. Insuperabile nel costruire, all'interno dell'opera, "frammenti" di toccante qualità, Fellini in questo film riesce a discorrere in una inflessibile continuità, sia pur per frammenti!
"Il Tempo", 25 novembre 1978
Mireille Amiel
E' un film sconvolgente. Se ne possono fare differenti letture. Esse sono tutte vere, contemporanee, uguali. Voglio dire che non si può stabilire alcuna gerarchia tra la parabola sull'attuale caos politico italiano (ed il suo posto nell'attuale squilibrio planetario), la riflessione sul ruolo dei mezzi di comunicazione, la meditazione metafisica sulla funzione dell'uomo nella società, la sua necessità, il suo divenire, il suo rapporto con la creazione [...] Ciò di cui certamente Fellini ci parla è della musica. Vale a dire dell'arte, della creazione, del mezzo per andare al di là dell'effimero, della morte, della banalità. Ciò che Fellini ci dice è che la mediocrità è insopportabile. Perché limitare la portata del film alla sua dimensione analizzabile, logica, parabolica, non vuol dir nulla. Prova d'orchestra è un grido straziante, metà appello e metà stigmatizzazione; è in ogni caso, e sotterraneamente, un grido di speranza. Poiché Fellini, malgrado la contraddizione dolorosa e commovente degli ultimi minuti, non ha mai smesso di sperare.
"Cinéma 79", n. 247-248, juillet-août 1979
Tullio Kezich
Come tutto il Fellini televisivo da Block-notes di un regista a I clowns, ha una leggerezza di tocco e una capacità di sintesi ormai difficili da trovare nelle opere maggiori. Nei ritratti degli orchestrali si conferma l'estro dell'antico caricaturista, ma esaltato in una dimensione gogoliana, mentre la figura del direttore è in parte l'occasione di uno sfogo autobiografico, in parte un'autocritica spinta al paradosso (dopo un ispirato discorso di impronta junghiana sulla necessità di suonare bene il proprio strumento, il personaggio spara una serie di ordini in tedesco). Nell'insieme il film, padroneggiato con superiore bravura, è un saggio genialmente contraddittorio: divertente e tristissimo, positivo e disperato, cattivante e stizzoso.
Il Centofilm 2. Un anno di cinema 1978-1979, Il Formichiere, Milano, 1979
Alberto Farassino
A un certo punto, nel momento di massima degradazione (e questo è detto in termini di strutture non di valori estetici: infatti sono probabilmente i momenti migliori del film) interviene il famoso maglio di ferro, preludio all'avvento di un nuovo ordine. Della Rivoluzione, della Restaurazione, della Provvidenza? No, è solo il simbolo di se stesso, il simbolo del simbolico. Nel momento della deriva, quando più nulla è codificato, si afferma l'ipotesi di un ritorno all'ordine del simbolico, ai linguaggi della certezza, alla compattezza, ferrea, dell'opera. Assieme alla grande palla di ferro è il cinema che rientra nella televisione, portandovi i suoi effetti speciali, le sue nuvole di fumo, le sue scenografie da studio, il fantastico, le forti emozioni, tutto ciò che il cinema può fare ma non la TV. E' il cinema "per" la TV, è l'orchestra che ricomincia a suonare.
"La Repubblica", 15 marzo 1979
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